a cura di Monica Montella
C’è una forte strumentalizzazione che sta avvenendo ai danni del movimento cinque stelle, in particolare c’è chi vuole manipolare e agire sul nostro programma per delegittimarlo ed ha capito come raggiungere l’obiettivo. Il punto debole del M5S è questo: basta iscriversi al movimento cinque stelle nazionale, meglio in massa, un adepto propone tipo il link sul blog nazionale e poi chiede di farlo votare a tutti gli amici che condividono l’idea del programma e il gioco è fatto!!!
Addirittura per enfatizzare di più la votazione è stato fatto circolare la proposta anche su Facebook, insomma un vero e proprio comportamento doloso commesso con coscienza e volontà ai danni di tutti i cittadini cinque stelle…… e questo ci deve far riflettere.
Conseguenza preoccupante: il movimento si ritrova nel programma una scelta fatta da manipolatori e non dai cittadini attivi.
C’è un piccolo nucleo ristretto di economisti (!!!) in Italia che spingono su questa strada del no euro ritenendo (ma ad oggi non riesco a trovare serietà scientifica in merito) che dobbiamo uscire dall’euro perché ne avremmo tutti i vantaggi. Il messaggio mediatico che ci viene imposto, in maniera coercitiva, avviene attraverso il giochetto del metti mi piace sulla stellina e poi viene diffuso questa frase “ricordiamoci che l’uscita dall’euro risulta come la proposta più votata del forum del MoVimento”!!! Certamente abbiamo capito anche il perché è la più votata!!!! Ma lasciamo a Grillo e Casaleggio la soluzione al problema dell’affidabilità del programma del blog nazionale ed entriamo nel merito della questione no euro che penso sia a questo punto l’aspetto più importante da affrontare.
L’argomento dell’uscita dall’euro è di una certa serietà scientifica che può impattare sul benessere di tutti i cittadini italiani quindi dobbiamo andare cauti con gli slogan. Proprio report nella recente trasmissione del 14 ottobre 2013 ha dichiarato che i cittadini con l’uscita dall’euro subiscono una patrimoniale del 30% perché i risparmi si svalutano del 30% (tesi tutta da verificare!!!). Ma seppure fosse una percentuale diversa siamo sicuri di volere proprio questo?
La vulnerabilità di un Paese alle speculazioni finanziarie dipende inoltre dalla composizione del suo debito pubblico rispetto ai settori che lo possiedono. Da questo punto di vista l’Italia non brilla, visto che il 49% è detenuto dalle istituzioni finanziarie e monetarie, il 5% dalla Banca d’Italia, l’11% da famiglie e imprese e ben il 35% da soggetti non residenti. Quindi!!
Se si introducesse una nuova lira svalutata ad esempio del 30% rispetto all’euro, si avrebbero le seguenti ripercussioni: 1) prima dell’introduzione tutti (sia italiani sia stranieri) proverebbero a vendere le proprie quote nel secondario, facendo in tal modo crollare il prezzo e quindi aumentare gli spreads; 2) una volta entrata la nuova moneta, lo stato si ritroverebbe con entrate in lire (tasse sulla produzione ed sul reddito) e uno stock di debito in euro. Se ad una prima svalutazione ne dovesse malauguratamente seguire un’altra, allora il rapporto tra entrate ed uscite si deteriorerebbe ulteriormente a causa della componente “rischio cambio” che si andrebbe ad aggiungere alla componente “premio per il rischio”. Insomma, i tassi d’interesse sul debito pubblico continuerebbero ad aumentare e lo spread a salire fino ad arrivare ai livelli della Grecia. A questo punto si genererebbero seri problemi di finanziamento per il governo e le possibili alternative per uscire dall’impasse sarebbero due: – default (più o meno controllato) o ristrutturazione; – monetizzazione, con annessi e connessi altri ulteriori casini legati all’inflazione e alla perdita del potere d’acquisto di famiglie ed imprese. E comunque con un nuova lira sarebbe tutto estremamente diverso. Per non dimenticare di tutti i costi strutturali che tale azione comporterebbe
Le grandi banche e lo Stato italiano fallirebbero immediatamente se uscissimo dall’euro perché hanno contratto dei debiti denominati in valuta euro con gli stranieri, poiché dopo l’uscita dall’euro la lira varrebbe molto di meno rispetto all’euro, di conseguenza tutti coloro che hanno un debito contratto in euro verso l’estero (35% l’Italia verso soggetti non residenti) si troverebbero in uno stato d’insolvenza. Ogni prestito concesso dai mercati al governo italiano, non più con sovranità monetaria, ha implicitamente un rischio d’insolvenza dovuto al fatto che per finanziarsi deve rivolgersi ai mercati privati, e quindi non ha più una capacità illimitata di onorare il suo debito se non tassando spaventosamente i cittadini (ma fino ad un certo livello) o privandoli dei servizi forniti dalla PA. Quindi lo Stato non può più emettere debito per poter pagare stipendi, pensioni ecc. le uniche classi sociali a essere favorite dall’uscita dall’euro sono le imprese che esportano che ne avrebbero un guadagno certo. “In ultima analisi, dovrebbe essere ben chiaro come la spinta al ribasso del potere d’acquisto della propria valuta non costituisca alcun beneficio di lungo periodo per i paesi che attuano tali politiche. L’unica ragione per cui l’esportatore registra maggiori vendite è che l’acquirente dei beni esportati sta comprando adesso ad un prezzo inferiore. Questo minor prezzo non è il risultato di una produzione più efficiente, ma di una sovvenzione — un trasferimento di ricchezza — da parte di alcune persone che vivono nel paese esportatore verso l’acquirente straniero. A ogni successiva espansione monetaria, la ricchezza viene incanalata verso l’esportatore, i suoi dipendenti e quegli altri soggetti che ricevono il denaro nelle fasi iniziali della svalutazione. L’esportatore costituisce il mezzo, non ben percepito, con cui viene effettuato il trasferimento. La nazione nel suo insieme sta peggio; è meno competitiva, non più competitiva di prima“.
Una nuova lira distruggerebbe (letteralmente) i livelli di benessere di tutti coloro che si trovano in una posizione debitoria in valuta euro. Quindi, almeno nell’immediato (diciamo 2/3 anni) esisterebbero due effetti contrastanti: una contrazione della domanda aggregata dovuta sia all’incertezza sia alle peggiorate condizioni finanziare delle famiglie; un possibile effetto di svalutazione competitiva che ha effetti positivi sull’export (ovviamente sempre che gli altri paesi non attuino politiche di “ritorsione” e/o di “conservazione” delle proprie quote di export). Chi vincerà? Boh.
Le esperienze passate di grandi default ci dicono che chi ci guadagna non è in grado di compensare tutti coloro che ci rimettono quindi tornare alla propria moneta sovrana (nel nostro caso alla lira) è la soluzione più costosa per una comunità. Ma siamo proprio sicuri che vogliamo risolvere i problemi italiani attraverso lo strumento più costoso quale l’uscita dall’euro?
Bisogna essere chiari e trasparenti con i cittadini e far decidere loro qual’è la scelta meno dolorosa. Ma di certo non possiamo sposare uno strumento del genere solo perché qualcuno lo considera il più votato sul Blog del movimento nazionale di Beppe Grillo ma che poi, come abbiamo visto, è stato fatto in maniera subdola e strumentale.
A mio avviso bisogna intervenire sui problemi strutturali del nostro paese che sono evidenti. Abbiamo investimenti negativi, abbiamo un debito pubblico che ci costa una cifra altissima di interessi, abbiamo un paese che non dà certezza agli investitori per l’eccessiva corruzione, abbiamo una classe politica non credibile che non pensa al bene del paese e dei suoi cittadini ma agli interessi delle lobby.
Ma nel frattempo i dati ci indicano che la strada percorsa fino ad oggi è sbagliata dobbiamo invertire la rotta. A conclusione dell’anno 2012 con la pubblicazione dei dati di consuntivo è stata confermata la caduta del Pil al 2,4%, il rapporto indebitamento/Pil ha toccato il 3% (a dir la verità lo ha anche superato di 653 milioni di euro) e il rapporto debito/Pil è arrivato al 127%.
Nel 2012, su 81,5 miliardi di euro di aumento di debito pubblico (il flusso dell’anno), il 58% è derivato dall’indebitamento netto o deficit e il 42% dai flussi finanziari. Come sta accadendo negli ultimi anni in Italia il saldo primario è positivo, quindi l’indebitamento netto è causato soprattutto dalla spesa per interessi che sta facendo aumentare notevolmente il debito pubblico.
La decrescita del pil rende il quadro di finanza pubblica ancora più instabile, il Pil nominale, che inizialmente doveva crescere dell’ 1,2% poi è passato allo 0,5% adesso viaggia a -0,6%. Quindi tutte le possibile buone intenzioni di stabilità dei conti pubblici crollano davanti a questi dati. Si preannuncia, quindi, un’ulteriore impennata che si rifletterà nei prossimi anni con maggiori spese soprattutto per interessi a carico delle generazioni future.
Non è per consolarci ma in questa situazione ci sono la maggior parte dei paesi dell’euro che hanno dovuto subire da parte della Commissione Europea l’apertura di una procedura per disavanzi eccessivi e avviare un processo di risanamento delle finanze pubbliche da attuarsi nel medio termine.
Nel frattempo i tecnocrati in Europa si sono concentrati troppo sulle politiche di austerità senza nel contempo approfondire gli squilibri strutturali economici esistenti nei paesi europei. Ancora una volta, è stato trascurato l’aspetto della convergenza verso una politica fiscale e del lavoro comune quindi nessun impegno sui problemi sostanziali dell’europa. Mi chiedo come si può parlare di politiche di sostegno all’occupazione e allo stesso tempo continuare ad imporre il 3% di Maastricht?
Da un analisi dei dati del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche per il 2012 emerge una Italia in sofferenza in confronto agli altri paesi europei: 1) è al primo posto in Europa per la spesa previdenziale pur avendo effettuato negli ultimi 20 anni numerosi interventi di riduzione della spesa previdenziale; 2) è al quarto posto in Europa per l’incidenza dell’imposizione fiscale (imposte dirette, imposte indirette, imposte in conto capitale); 3) è al quinto posto, con una pressione tributaria al 30% e contributiva al 14%, al di sopra della media europea; 4) si trova in una posizione infelice con lo 0,70 tra entrate per contributi sociali effettivi e figurativi e uscite per prestazioni sociali in denaro (un valore del rapporto superiore a 1 indica un eccesso di entrate rispetto alle uscite) in quanto lo Stato è costretto ad intervenire, attingendo alla fiscalità generale, per coprirne la differenza.
Perché allora continuare a distogliere la nostra attenzione dai problemi veri, visto lo scenario emerso dai dati empirici? Uscire dall’euro non è la risposta ai nostri problemi. Bisogna andare “OLTRE”
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