Misurare il male per combatterlo: mi adeguo; ma misuriamo anche il bene!

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L’Istat ha diffuso una nota sul cambiamento del sistema dei conti nazionali per effetto dell’adozione del Sistema dei conti nazionali (Sec),  con il passaggio ad una nuova versione delle regole di contabilità (ovvero la transizione dalla versione 1995 a quella 2010 del Sec).

La notizia ha dato molto scalpore ed è comprensibile perché all’interno della misura per la prima volta sono incluse novità importanti e gli effetti che da queste  derivano sulle principali grandezze macro economiche.

In particolare riguarda l’inserimento nei  conti nazionali delle attività illegali, che già il Sec95 aveva previsto, in ottemperanza al principio secondo il quale  le stime devono essere esaustive, cioè comprendere tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico”.

“Allo scopo di garantire la massima comparabilità tra le stime prodotte dagli stati membri, l’Eurostat ha fornito linee guida ben definite. Le attività illegali di cui tutti i paesi inseriranno una stima nei conti (e quindi nel Pil) sono:

  • traffico di sostanze stupefacenti;
  • servizi della prostituzione;
  • contrabbando (di sigarette o alcol)”.

Ok se si tratta di misurare il male per poi combatterlo allora si può anche accettare una loro misura, altrimenti mai riusciremo a capire l’entità del fenomeno. Ma a questo punto bisogna misurare anche il bene.

Forse non tutti sanno che il SEC 2010 oltre a prevedere la stima delle attività illegali, prevede anche la stima dei conti della produzione familiare (SEC. 2010 cfr.22.88 nel sistema centrale sono registrate come attività di produzione familiare i servizi di coloro che occupano l’abitazione di cui sono proprietari, la produzione di prodotti agricoli destinati all’auto-consumo e la costruzione per uso proprio di abitazioni. Lo scopo di un conto satellite della produzione familiare è di fornire un quadro completo di tale produzione, mostrare il reddito, il consumo e i risparmi di diversi tipi di famiglie, nonchè le interazioni con il resto dell’economia).

La produzione familiare è rappresentata dai beni e servizi prodotti dai membri di un nucleo familiare per il proprio consumo, combinando il loro lavoro non retribuito con gli acquisti di beni di consumo durevoli e non durevoli” (Ocse, 1995).

SEC. 2010 cfr. 22.91 “La produzione familiare comprende soltanto i servizi che possono essere delegati a soggetti diversi da coloro che ne beneficiano, e questo è noto come il principio del terzo operatore. Di conseguenza, sono esclusi la cura della persona, lo studio, il sonno e le attività del tempo libero”.

Per la produzione familiare si possono distinguere diverse funzioni principali: abitazione, nutrizione, abbigliamento, cura dei figli, degli adulti e degli animali da compagnia e lavoro volontario, il quale è utilizzato, per definizione, all’interno di un’altra famiglia” (Montella, 2012). “Per ognuna di queste funzioni principali è possibile definire le attività o principali caratteristiche. Ciò consente di attribuire una spesa o l’uso del tempo per queste attività alle funzioni principali.” (SEC. 2010).

Il PIL purtroppo ignora tutto ciò che non passa per il mercato e a cui non abbia fatto seguito una transazione economica. L’obiezione potrebbe essere questa! Ma allora perchè nel PIL includiamo i fitti imputati  una componente figurativa del reddito derivante dalla proprietà della abitazione in cui si vive?

E inoltre perché il SEC 2010 ha previsto un capitolo dedicato proprio ai conti satelliti tra cui è compreso quello sulla produzione domestica?

Perché in realtà è ormai ampiamente riconosciuto a livello internazionale che un’appropriata contabilizzazione della produzione domestica sarebbe di supporto alla definizione e all’adozione di misure di politica economica a sostegno di uno sviluppo più armonico.

La determinazione del valore della produzione familiare può servire a fini di politica sociale (es. assegno di mantenimento o dell’importo della pensione di reversibilità); consente di analizzare e comprendere meglio i consumi privati; fornisce informazioni sul lavoro domestico non retribuito (che è una risorsa tutta al femminile).

Anche la Task Force Eurostat “Emphasise the Household Perspective”, istituita per  analizzare il ruolo delle famiglie nel sistema statistico europeo, raccomanda la compilazione di Conti Satelliti sulla produzione familiare con metodi e dati armonizzati in modo non occasionale.

Perché allora procedere soltanto in un senso nel passaggio alla nuova versione delle regole della contabilità nazionale secondo il nuovo sistema nazionale dei conti omettendone un altra parte molto importante per l’analisi della crescita del benessere di una società?

Non dimentichiamoci che il valore della produzione familiare in percentuale sul Pil è pari al 32% e se il confronto lo si effettua in termini di solo costo del lavoro – in linea con quanto fatto recentemente dall’OCDE (2011) – tale percentuale scende al 30%.

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