La base giuridica della protezione della sanità pubblica in Europa come elemento determinante delle scelte operate è regolata dall’articolo 114 TFUE che dispone esplicitamente che, “nel realizzare l’armonizzazione, sia garantito un livello elevato di protezione della salute umana, tenuto conto, in particolare, degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici“. La direttiva n°24[1] del 9 marzo 2011 sulla libertà di ricevere assistenza sanitaria in tutta l’Unione europea (UE) recita che “i superiori valori di universalità, di accesso a un’assistenza di elevata qualità, di equità e di solidarietà sono stati ampiamente riconosciuti nell’azione di diverse istituzioni dell’Unione. Di conseguenza, gli Stati membri dovrebbero altresì garantire il rispetto di tali valori nei confronti dei pazienti e dei cittadini di altri Stati membri ed assicurare un trattamento equo di tutti i cittadini in base ai loro bisogni di assistenza sanitaria e non in base allo Stato membro di affiliazione“.
Ma di cosa stiamo parlando? Dell’«assistenza sanitaria transfrontaliera» cioè dell’assistenza sanitaria prestata in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di affiliazione. Ma il nostro paese è pronto per recepire questa direttiva? Il Ministero della Salute rappresentato dal Direttore Bevere[2] in un suo intervento alla LUISS del 13 dicembre 2013[3] sostiene che l’Italia “è tra i 13 paesi che la direttiva l’ha già avviata e ciò sconvolgerà i sistemi sanitari europei senza aver operato nel contempo un’azione di coordinamento stretto almeno bimestrale di tutti i paesi” e prosegue “per capire come stanno i paesi dal punto di vista organizzativo e gestionale rispetto a questo tema purtroppo questo non è stato ancora fatto“.
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